Monday, December 3, 2012

Sorrisi da spogliatoio di Matteo Resca

Ogni tanto mi guardo intorno in spogliatoio e sorrido. Penso agli anni in cui ero io il giovane silenzioso nell’angolo e alla fatica che ho dovuto fare per guadagnare la prima convocazione in prima squadra. Ricordo che già allora aleggiava una frase che trovavo molto antipatica ma che col tempo ho imparato ad accettare e a riconoscere: “cavolo, il livello è calato negli ultimi anni!”. Storcevo il naso -ma come? Ora che mi sto affacciando alla vera pallamano mi dite che la qualità è calata? Chi misura questo livello? Chi determina questo scemare? - Non capivo. Andavo avanti ogni giorno ad allenarmi e ad inseguire giocatori magnifici. Proprio in quel periodo un personaggio si appropriò dei nostri pomeriggi. Una persona con un ruolo che in Italia sta scomparendo. Ci fece amare la pallamano, ci passò la sua passione e la sua esperienza. Vladimir Brzic ha avuto un ruolo fondamentale per me e per i ragazzi di Ferrara, ci ha insegnato il sacrificio. Capimmo che per arrivare a determinati risultati dovevamo scegliere tra il pomeriggio con gli amici o l’allenamento. Iniziarono così le prime scremature. Qualcuno mollò, qualcuno tornò e insieme crescemmo. Col tempo il legame con Vlado si deteriorò e alcune incompatibilità lo portarono lontano da Ferrara e dal suo ruolo di “pastore”. Cambiarono le cose e il buco lasciato non fu mai tappato realmente. Il gruppo cresciuto da Vlado continuò a farsi carico della squadra e a traghettarla negli anni tra la serie B e l’A1, grazie soprattutto alla passione che li teneva uniti. Personalmente io feci una scelta diversa: alla seconda chiamata di una squadra prestigiosa cedetti e andai. Abbandonai il gruppo e intrapresi una strada che al tempo non immaginavo così ardua. Vissi due anni fuori casa. Conobbi nuova gente e nuovi compagni. Mi feci dei nuovi amici e questo fu il bello e la vittoria dello sport, ma l’ombra che proiettava questa luce era molto grande. Il compenso che ricevevo in quei due anni era basso, proporzionato ad un ragazzo che aveva tutto da dimostrare. Nonostante questo, anche quei pochi soldi faticavano ad arrivare e le voci in spogliatoio erano costantemente piene di ansia e paura. C’era chi doveva pagare il bollo, chi le tasse universitarie e chi aveva un figlio. C’era la scadenza della pazienza puntualmente rimandata alla settimana successiva. C’erano gli sguardi che si incrociavano, la consapevolezza di essere sulla stessa barca guasta che prima o poi sarebbe affondata. Avevo 19 anni e l’ambiente in cui mi trovavo lo accostai ben presto ad una ciurma di anime perdute, vendute ad una passione che mai le avrebbe ripagate. Passai un anno e quello seguente in queste condizioni. Avevo del talento, dicevano, ma le mia ginocchia non erano della stessa opinione. Mi operai una volta, una seconda ,e dato che non c’è due senza tre, decisi di operarmi una terza volta. Ero a terra, con pochi soldi e con nessun esame universitario a referto. Mi guardai le ginocchia più volte e mi resi conto che, addirittura, una non riusciva più ad estendersi come prima. Decisi di abbandonare la barca e tornare a casa. Ritrovai il gruppo ma era cambiato: era disunito e aveva perso la passione che lo contraddistingueva. Provai a cercare i frammenti di quella che era LA passione ma non esisteva più nemmeno nelle giovanili. Pochi giovani interessanti, poco gruppo e nessuna traccia di ciò che stavo cercando. Ero deluso, parlai con la società e con l’allenatore. Volevo più unione, più impegno, ma sembrava che quello che stavo dicendo fosse incomprensibile, un miraggio. Decisi di ripartire e cambiai ancora una volta squadra. Trovai una società ambiziosa e in quell’ambizione mi persi. Mi sentivo bene e gli impegni presi da entrambe la parti erano rispettati. Crebbi come giocatore e ritrovai la nazionale che avevo perso da anni. Arrivò una semifinale di coppa internazionale e una finale scudetto passate entrambe a tifare da casa. La mia è una storia tragicomica diciamo, prima un dito rotto e poi un virus intestinale mi obbligarono a saltare gli impegni. Ma questo fu solo l’inizio. La facciata bella e felice stava ancora una volta per crollare. Tornarono ben presto le paure della paga ed in più si aggiunse il terrore del fallimento. Dove andare? Come fare? La macchina come la pago? E l’università? E rieccomi lì, su un altro battello colmo di anime perdute. Erano passati quattro anni dal primo ritorno a casa e come allora mi soffermai ad ascoltare il mio corpo. Avevo una nuova cicatrice sulla mano, niente di grave ma ero stanco. Scoprendo che i vertici erano cambiati tornai a Ferrara, dove sono tuttora. Sono passati più di otto anni da quando lasciai casa sognando. Col tempo ci sono fattori che hanno determinato dei ridimensionamenti, ma la Pallamano ha decisamente esagerato. Padri disperati a parte, quello che maggiormente ferisce è la consapevolezza di non lasciare nulla ai giovani. Pochissimi Vlado Brzic calcano ancora le panchine italiane e conseguentemente pochissimi talenti decidono di buttarsi nella mischia. Assistiamo così passivi allo scomparire di una realtà ogni anno più brutta e amara. L’anno scorso avevo deciso di iscrivermi al corso di allenatori di primo livello, ma è stato annullato. Ci troviamo così con dei ragazzini che allenano altri ragazzini, e con la frase - cavolo, il livello è calato negli ultimi anni! – ormai dipinto sui muri dello spogliatoio. Mi ritrovo catapultato in prima serie dove un branco di giovani buoni e simpatici sono convocati ancora prima di capire se hanno del talento. La formula del campionato, inoltre, richiede un gran numero di arbitri, promuovendo così la presenza anche di soggetti non adeguatamente preparati, incapaci di dirigere una partita “seria”. Abbiamo un campionato di testa formato da tre gironi da dieci squadre, atto ad abbattere costi e qualità di gioco. Ogni tanto mi ritrovo convocato, senza troppo preavviso, in una nazionale in cui devo dimostrare in due allenamenti di sapermi trovare con giocatori che non vedo da tre o quattro mesi, per poi confrontarmi con squadre che preparano l’incontro da settimane e con diversi tornei di rodaggio. Eccomi qui a sorridere allora, mentre due ragazzini si chiedono se Radovcic sia mancino o destrorso. Sorrido sognando un campionato di 14 o 16 squadre dove il livello è tenuto basso dal Semi-Professionismo e non dai tre gironi di ragazzini allo sbaraglio. Sorrido mentre mi cigolano le ginocchia e il solo alzarmi dalla panchina mi causa una smorfia di dolore. Un atleta nelle mie condizioni, insieme a ragazzini alle prime armi stanno andando a giocarsi il terzo posto nel girone più difficile d’Italia. Che c’è? Non vi fa sorridere?

5 comments:

  1. Emozionante oltre che tragicomico :'(

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  2. Bellissime parole che testimoniano la situazione tragi-comica della nostra amata pallamano, ma sopratutto fanno emergere prima del tuo talento la grandezza del tuo animo di UOMO VERO.
    Complimenti vivissimi
    Emidio Cinelli

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  3. Belle parole che purtroppo descrivono il mondo pallamano.
    Un mondo riempito di gente appassionata, che ama veramente questo sport ma gestito da persone che dovrebbero fare tutt'altro nella vita (se sono in grado)!

    Mi unisco ai complimenti di Emidio !

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  4. Sono di parte e forse il mio commento non dovrebbe nemmeno comparire sotto le tue parole.... Però l'emozione che mi hai trasmesso é tanta e quindi, oltre a ringraziarti per questo, vorrei esprimere tutta la mia ammirazione.
    Non quella da padre verso il figlio.... Quella é cosa nostra Matteo.... difficile da condividere.... Bensì quella da uomo ad altro uomo che apre il suo cuore con la passione che hai espresso tu.
    Chapeau...

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  5. Caro Matteo, ero tra i vecchi che ti "battezzarono" quando assiemeai tuoi amici, poco più che bimbi, sbarcaste in spogliatoi. Capii subto che oltre un piacere era un onore giocare con voi e la differenza di età, come solo negli spogliatoi può capitare, si azzerò di colpo. Ti ho seguito con affetto nel tuo pellegrinare per la pallamano, ammirando la tua passione per questo sport e la tua capacità di praticarla sempre con correttezza, impegno ed un sorriso. Stesse qualità che metti in questo bellissimo post.
    Ma c'è speranza! Domenica ho visto giocare la nostra under 14...mi siete tornati in mente voi.
    Trovare allenatori come Vlado (o come fu per me Vassile Oprea) non è facile, ma sono certo che è da persone come loro (spero anche italiane) che bisogna ripartire, persone competenti e con più voglia di trasmettere adei giovani la passione per questo sport che di farne un business.

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